Regina dell'Olivo

Copertina del libro

"REGINA DELL'OLIVO - Nostra Signora del Romito venerata sotto il titolo dell'Annunziata nel suo Santuario delle Olivette in Arenzano"

Autori:
GIUSEPPE ROGGERO
LORENZO GIACCHERO

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U FRATTE DA GAVA

U fratte da  Gava U fratte da Gava

Aveva 35 anni e faceva il pastore quando Andrea Canepa, nato a Crevari nel 1785, decise di vivere come un eremita tra le sue pecore nei pressi del Passo della Gava, nella baita sulla mulattiera per Olba. A 700 metri di altitudine l'erba era fresca nella buona stagione e nei mesi invernali era sufficiente la provvista di fieno. I rapporti col mondo si esaurivano nello scambio del formaggio ottenuto dal latte del gregge con il tabacco e il caffè dei viandanti che utilizzavano quel percorso; le esigenze dello spirito erano appagate dalle orazioni recitate al Passo della Gavetta nella mattinata della domenica, alla vista della chiesa parrocchiale di Arenzano, al suono delle sue campane.

Quando nel 1855 il Comune affittò ai contadini i terreni incolti per il taglio del fieno, Andrea, sentendo minacciato il proprio isolamento, preferì andarsene; gli anni erano già settanta, ma sorretti dalla forte volontà e da un'evidente buona forma fisica, che gli consentirono di incamminarsi col suo gregge per l'antica Via Romana e raggiungere le alture di Savona, per continuare una vita di solitudine in un altro cascinale sperduto.

La civiltà lo raggiunse ancora quando compì cent'anni e il Comune di Savona pretese la sua presenza in città per i festeggiamenti di rito. Che lasciarono interdetto Andrea, smarrito di fronte ad una tavola imbandita con ogni ben di Dio: "Se nu ve dispiaxe, invece de tutta questa roba, aviëi piaxei de mangià un po' de pulenta cundia cun l'öiu!"- "Se non vi dispiace, invece di tutta questa roba, avrei piacere di mangiare un po' di polenta con l'olio", furono le sole parole che osò pronunciare, e che imposero a tutti i convitati un nuovo menù, svelando forse la ricetta di un semplice elisir di lunga vita.

Andrea Canepa, u Fratte da Gava, si spense infatti nel 1890. A 105 anni!

(Carlo Roggero raccolse questa testimonianza da Luigi Robello, Luigi da Madonn-a, nel 1960)

Non sono noti il periodo e le motivazioni specifiche della fondazione di quest'ultimo Santuario; la denominazione originale "del Romito" fa presumere la presenza iniziale, o comunque nota, di un eremita, che risiedette nel luogo, magari protetto soltanto da un anfratto naturale, oppure abitò una semplice costruzione ristretta tra il colle e il tracciato stradale -la Via romana- che fu il suo rifugio e, se proprio non edificò personalmente, mantenne finché altri ne presero possesso o ne ebbero a qualche titolo l'uso e la cura, fino ai successivi interventi di ampliamento e abbellimento di cui siamo a conoscenza.

E' plausibile la presenza di un solitario che, per una precisa scelta di vita dettata da un anelito mistico con la conseguente coerenza di comportamento, avrebbe deciso di vivere ai margini di una comunità pur mantenendo con essa e con il mondo, che transitava per un incrocio di strade all'ingresso del tugurio o sulla soglia della casa-chiesa, un certo rapporto fatto di conoscenza reciproca e di assistenza materiale ricambiata da conforto spirituale? Sappiamo che, riferendoci al XII e il XIII secolo, "l'eremitismo in quell'epoca era assai diffuso anche in Liguria. Nel 1130 un eremita viveva nei pressi di Gattorna; nel 1241 un altro viveva sulle alture di Sant'Eusebio. Nel 1244 un certo Bonifacio conduceva vita eremitica sulla collina di Granarolo, i ‘fratribus di Monte Timono' erano tre eremiti; un altro infine in quegli stessi anni, viveva presso Cremeno" (Don Pietro Ravecca, "Sant'Alberto da Sestri Ponente", 1968): senza dimenticare, appunto, l'eremita del monte Contessa, Sant'Alberto da Sestri Ponente, che alcuni vollero identificare con il "Fra Alberto da Arenzano, grangiere (agricoltore)", della comunità cistercense di Sant'Andrea "de Sexto" nel 1197.

Se consideriamo invece il carattere iniziale anche religioso dell'abitacolo, non soltanto conosciuto per la figura del solitario personaggio, ma anche per la devozione alla Vergine, dobbiamo ritenere il Romitorio sottoposto a precise regole di Diritto canonico; oltre all'apertura e alla manutenzione per l'esercizio del culto stabilito nel corso dell'anno, il custode-eremita doveva anche sorvegliare il santuario da inopportune incursioni, e nello stesso tempo, magari facendo violenza al personale desiderio di solitudine, essere sollecito nel condividere il tetto dell'umile dimora e la carità di cui era fatto partecipe dalla popolazione, ospitando pellegrini o semplici viandanti.

Ribadiamo che non esistono elementi certi per stabilire anche solo approssimativamente l'epoca della fondazione del Santuario, tuttavia possiamo ritenere che il primo nucleo, o almeno quello legato alla dimora del Romito (che ha suggerito la denominazione specifica), sia precedente al momento di massima diffusione delle chiese-santuario sul territorio ligure, e cioè il Quattrocento, periodo al quale è attribuita la nascita dei due terzi di tali luoghi di culto ancora esistenti nella Regione.

Diciamo subito che, oltre alle documentazioni già note relative al Santuario di cui trattiamo risalenti ai primi anni del XVII secolo (lasciti e lapidi marmoree), il più antico manoscritto che riporta notizie sulla "Cappella di Maria Vergine" risale al 1582: tutti i documenti fanno comunque riferimento ad una costruzione già esistente, seppur caratterizzata dalla povertà, della ristrettezza, dall'inadeguatezza del troppo tempo passato ("antiqui sacelli antiquitatis angustiis" -"dalle angustie dell'antichità del vetusto sacello").